Artico, il ghiaccio più spesso e “antico” si rompe per la prima volta

A nord della Groenlandia si è appena “rotto” il ghiaccio più coriaceo che si conosca; un evento che, secondo molti scienziati, non si è mai verificato da qualche centinaio di anni e che mette ancora una volta in guardia dalle conseguenze del riscaldamento globale. 

Centinaia di anni fa i capitani di navi da commercio sapevano bene che tentare di attraversare le regioni artiche dall’oceano atlantico a quello pacifico era una impresa da ritenersi praticamente impossibile. Anche nei mesi estivi, quando la copertura della banchisa artica raggiungeva il minimo stagionale, il pericolo di trovare iceberg vaganti era altissimo. Inoltre, in molte delle aree che interessano il famoso “passaggio a nord-ovest”, il ghiaccio non era destinato a sparire nemmeno nei mesi estivi. Purtroppo, a causa dell’aumento delle temperature nelle regioni artiche, questa situazione sta cambiando rapidamente.

Rilevazioni satellitari degli scienziati del centro nazionale per il monitoraggio di neve e ghiaccio hanno infatti mostrato come nel nord della Groenlandia si sia aperto nelle ultime settimane un passaggio nel ghiaccio che permetterebbe di circumnavigare il continente senza bisogno di una nave rompighiaccio.

Immagine satellitare di Capo Morris Jesup nel nord della Groenlandia scattata lo scorso 13 agosto

Immagine satellitare di Capo Morris Jesup nel nord della Groenlandia scattata lo scorso 13 agosto

L’area, ben visibile nell’immagine satellitare sovrastante, è stata interessata da una anomala fusione dei ghiacci che ha permesso all’acqua dell’oceano atlantico di farsi lentamente strada verso nord-ovest, come mostrato dall’animazione sottostante.

Animazione della percentuale coperta da ghiaccio (colori giallo-viola) e mare (colori verdi-blu)

È interessante notare come questa anomala fusione non sia tanto conseguenza di temperature troppo alte negli ultimi mesi. In realtà le temperature in queste regioni sono risultate più o meno in linea con la media negli ultimi mesi, a differenza di quanto misurato nel centro Europa. Tuttavia, un inverno molto più caldo del normale ha impedito l’accumulo di neve/ghiaccio ed il compattamento della banchisa che ora risulta meno spessa e quindi più soggetta a fusione prematura. Ne è una testimonianza la copertura dei ghiacci rilevata da satellite che risulta ben al di sotto della media attesa per questo periodo (linea arancione nella figura sottostante).

Estensione corrente dei ghiacci artici e mediana di riferimento

Estensione corrente dei ghiacci artici e mediana di riferimento

La mancanza di banchisa artica non influenza solo la fauna di queste aree (specialmente gli orsi polari) ma anche il clima dell’intero globo visto che la percentuale di radiazione solare che viene riflessa senza essere assorbita dal pianeta (albedo) dipende proprio dallo stato di salute dei ghiacci. Un altro fattore da considerare è anche l’annerimento di molte porzioni della banchisa dovuto alla deposizione dei residui di combustibili fossili, come mostrato nell’immagine sottostante.

Ghiaccio "scuro" dovuto alla deposizione di nerofumo, ovvero residui del consumo di combustibili fossili

Ghiaccio “scuro” dovuto alla deposizione di nerofumo, ovvero residui del consumo di combustibili fossili

Fortunatamente dopo questo sporadico episodio il ritmo di fusione dei ghiacci sembra essersi stabilizzato, rendendo di fatto improbabile il raggiungimento di un record negativo nel mese di settembre (minimo stagionale). Tuttavia lo stato di salute della banchisa artica rimane, come sempre, oltremodo critico. 

Articolo di Guido Cioni del 29 Agosto 2018 alle ore 17:14

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