Nel 2018 in un paese come l’Italia sembra incredibile dover parlare ancora di vittime “del maltempo”. Eppure eccoci qua, in questi giorni di incessanti piogge, venti oltre i 200 km/h e mareggiate che, come annunciato da migliaia di scienziati, stanno diventando sempre più frequenti dimostrando per l’ennesima volta che il Mediterraneo è un “hotspot” dei cambiamenti climatici. Tuttavia, sostenere che queste vittime sono state causate dal maltempo è erroneo e fuorviante.
In rari casi, infatti, il maltempo ha direttamente causato vittime sul suolo italiano. Certo, in alcuni casi possono verificarsi situazioni difficili da prevedere (ad es. la scarica di un fulmine), ma la maggior parte delle vittime “dovute al maltempo” sono quasi interamente colpa nostra. Per capirlo basta partire da qualche esempio. Quanti si trovavano in macchina, magari su di un ponte pericolante gravato dalla piena del fume, nel bel mezzo di un periodo di allerta? Quanti avevano inseguito una tromba d’aria solo per il gusto di postare il video sui social? Quanti non avevano rispettato le norme ambientali per la costruzione di una casa o di un esercizio commerciale in aree ad alto rischio idrogeologico?
La verità è che il maltempo raramente uccide: sono le nostre scelte sbagliate a farlo!
Scelte dettate da una logistica ambientale pressoché inesistente. Spesso gli investimenti o scelte di carattere ambientale non si dimostrano adatte alle problematiche, basta pensare che l’Italia, uno dei paesi con la maggiore varietà di scenari meteorologici in manciate di chilometri, non ha un centro nazionale meteorologico ufficiale (non militare). I servizi meteorologici continuano ad essere frammentati da regione a regione rendendo di fatto impossibile reperire dati per fare statistiche su questo tipo di eventi estremi. Eventi estremi dovuti in parte al cambiamento climatico sul quale, di nuovo, non si agisce da tempo. Non esiste un incentivo all’uso di energie rinnovabili, un piano per la riqualificazione energetica degli edifici che sprecano energia, un minimo investimento per limitare il dissesto idrogeologico.
Come non esiste una cultura meteorologica o climatica di fondo. Come è possibile che, nei continui tagli all’università , stiano continuando a sparire corsi di laurea che insegnano proprio a valorizzare l’ambiente cercando di capire l’evoluzione a lungo termine delle variabili geofisiche fondamentali (temperatura, precipitazione…). Siamo paradossalmente uno dei pochi paesi che non investe in meteorologia, nonostante ne abbia estremamente bisogno!
Eppure sembra che si preferisca fare finta finché non ci siano “pezzi” di montagna che letteralmente collassano, alberi che vengono rasi al suolo dalle raffiche di scirocco. Oppure vogliamo fare finta fino a che sotto a quegli alberi e montagne non ci sarà la nostra famiglia o noi stessi?
Articolo di Guido Cioni del 05 Novembre 2018 alle ore 17:55
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