Ecco come le auto rilasciano tonnellate di microplastiche negli oceani

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Non solo emissioni: l’usura di pneumatici e freni è tra le maggiori cause di inquinamento marino da microplastiche.

Quando pensiamo all’inquinamento legato alle auto e ai trasporti ci concentriamo sulle emissioni inquinanti, che contribuiscono alle concentrazioni di gas nocivi in atmosfera e quindi favoriscono il riscaldamento globale, rendendo l’aria meno sicura per le persone. Tuttavia, l’inquinamento provocato dall’uso quotidiano delle auto non ha impatto solo sull’aria che respiriamo: un nuovo studio rivela che le microplastiche rilasciate da pneumatici e parti di auto sono tra le principali fonti di inquinamento marino, con un’incidenza rilevante anche nelle aree più remote degli oceani.

Ogni anno, circa 140.000 tonnellate di microplastiche vengono rilasciate dagli pneumatici e dalle pastiglie dei freni delle auto, trasportate attraverso l’aria e infine scaricate in mare. Se si considera che uno pneumatico medio da rottamare è di circa 9 kg, il peso totale delle microplastiche rilasciate in mare ogni anno equivale a 11 milioni di pneumatici.

Gli pneumatici per auto sono composti di gomma, che contiene circa il 50% di polimeri naturali e sintetici. Comunemente si tende a pensare alla gomma come un materiale più naturale rispetto ad un polimero sintetico tipico come il polistirolo. In realtà, la gomma usata per gli pneumatici contiene elastomeri artificiali che, se disintegrati, rientrano perfettamente nella definizione di microplastiche stradali. L’abrasione e l’attrito degli pneumatici da origine alla frammentazione del materiale, diffondendo piccole particelle di usura nell’ambiente.

Le microplastiche stradali sono prodotte in quantità enormi ogni anno, con l’Asia come maggiore produttore rispetto a qualsiasi continente. Anche il Nord America e l’Europa, a causa della vasta presenza di veicoli stradali, producono questi materiali inquinanti in quantità significative. Oltre ad essere costantemente numerose nell’ambiente, queste microplastiche sono portate a viaggiare a lungo in aria, di conseguenza possono depositarsi in mare o nel suolo anche a migliaia di chilometri da dove sono state rilasciate.

Secondo i risultati dello studio, i particolati viaggiano in atmosfera anche a seconda della loro dimensione. Le particelle più piccole degli pneumatici possono restare in aria fino a 18-37 giorni, per poi depositarsi mediamente per il 43% sul suolo e il 57% negli oceani. Quelle più grandi tendono invece a depositarsi prima, creando spesso degli hotspot non lontani dalla zona di origine. Le microplastiche stradali che viaggiano nell’atmosfera possono raggiungere luoghi remoti, dove non ci sono strade né automobili, come il circolo polare artico. Qui la loro pericolosità è maggiore poiché, essendo particelle scure, assorbono la luce e quindi possono potenzialmente contribuire alla fusione del ghiaccio e al riscaldamento della regione.

Con una grandezza inferiore ai 5 mm, i polimeri delle microplastiche sono notoriamente una delle minacce più grandi per la salute degli ecosistemi. La loro dispersione e densità negli habitat, soprattutto marini, li rende disponibili come fonte mortale di cibo per le specie animali, accumulandosi nel tratto digestivo e compromettendo la crescita e la respirazione. Diversi studi hanno inoltre evidenziato che la loro proliferazione nel suolo ha un impatto negativo sulla riproduzione dei vermi, influenzando persino la crescita delle colture.

Secondo i ricercatori, la quantità di microplastiche stradali rilasciate nell’ambiente potrebbe essere maggiore di quanto riportato nello studio. L’analisi non comprende infatti fonti come trattori e macchine edili, che seppur presenti in misura inferiore rispetto alle automobili, sono soggetti ad una maggiore abrasione di pneumatici e freni. La forte dipendenza della società da questi materiali e dai trasporti evidenzia infine quanto sarebbe difficile eliminare questa pericolosa forma di inquinamento, finora analizzata nel suo percorso più visibile, cioè attraverso i corsi d’acqua. Ma la nuova ricerca rivela il percorso trascurato che è l’atmosfera e che potrebbe suggerire un numero molto più elevato di particelle presenti nell’ambiente.

Fonte: The Conversation.

Articolo di Erika del 16 Luglio 2020 alle ore 16:38

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