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Il nuovo studio PNAS evidenzia un picco dell’indice AMO concentrato nell’ultimo decennio, che non ha precedenti negli ultimi 2.900 anni almeno.
L’Oceano Atlantico ha appena vissuto il suo decennio più caldo in almeno 2.900 anni. A dirlo è un nuovo studio pubblicato negli Atti della National Academy of Sciences (PNAS), in base ai dati sui sedimenti oceanici e la temperatura superficiale dell’oceano. L’analisi accurata ha consentito di risalire alla storia climatica del pianeta e alle condizioni dell’oceano, anche grazie ad un nuovo modello chiamato Atlantic Multidecadal Variability (AMV), che studia la variabilità delle temperature superficiali del Nord Atlantico.
L’oscillazione multidecadale atlantica (AMO), ovvero l’oscillazione della temperatura superficiale dell’oceano, caratterizza normalmente l’oceano ed è determinante per alcuni eventi atmosferici. La fase calda può infatti portare ad un maggior numero di uragani intensi – come nella stagione degli uragani atlantici che si verifica nel periodo estivo, al contrario della fase fredda. La fase dell’AMO influenza anche la temperatura e le precipitazioni nelle aree continentali limitrofe, fino all’India.
Nel complesso, la variabilità del Nord Atlantico ha ripercussioni su Nord America, Europa e Russia. Conoscere lo stato dell’AMO è importante per prevedere lo spostamento del calore e per fare questo i ricercatori hanno preso in esame i sedimenti in un lago sull’isola di Ellesmere, nell’Artico canadese. La regione è infatti una delle aree maggiormente influenzate dai cambiamenti delle temperature dell’Oceano Atlantico e risente di una pressione più elevata quando questo è in fase calda.
I ricercatori sono riusciti ad analizzare il titanio in strati di sedimenti lacustri, ricostruendo la storia climatica dell’Atlantico degli ultimi 2.900 anni. I risultati hanno evidenziato che dalla piccola era glaciale del periodo 1300-1860 circa la variazione dei periodi caldo-freddo è aumentata costantemente, con un picco acuto concentrato nell’ultimo decennio.
Immagine: PNAS.Le analisi su carote di ghiaccio e sedimenti di altre località hanno mostrato risultati coerenti, portando alla conclusione che il riscaldamento attuale dell’Oceano Atlantico non ha precedenti in almeno 3 millenni. Ci sono fattori naturali che potrebbero influenzare questa variazione, precisano gli autori, ma è impossibile escludere l’impatto del cambiamento climatico. Il caldo è il primo segno distintivo di questo fenomeno, soprattutto negli oceani.
Le ondate di calore marine sono diventate più comuni e intense e sono causa diretta della stratificazione degli oceani. Negli ultimi mesi anche il ghiaccio marino artico ha raggiunto un nuovo record di estensione minima, con valori sempre più preoccupanti. Il riscaldamento dell’Atlantico preoccupa soprattutto per i cambiamenti nei modelli di precipitazione, che influenzerebbero luoghi dipendenti dall’agricoltura alimentata dalle piogge, e per il rischio di uragani sempre più intensi nel bacino.
Articolo di Erika del 14 Ottobre 2020 alle ore 18:03
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